MEDIAZIONE OBBLIGATORIA: NOVITA' E COMPROMESSI NELLA RIFORMA DELL'ISTITUTO

L’obbligatorietà della mediazione è stata reintrodotta con il decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, dopo che la Consulta aveva bloccato un percorso che stava dando i suoi frutti.  Frutti che, beninteso, non erano affatto quelli che i più ottimisti speravano di raccogliere, pur dovendosi smentire le improvvisate Cassandre che avevano pronosticato la morte della giustizia civile. E’ noto come in quella fase, divenuta sua malgrado, un periodo di «sperimentazione» dell’istituto, si sia assistito a qualche risultato incoraggiante. I dati ministeriali parlano chiaro: quando tutte le parti si presentano davanti ad un mediatore ci sono buone probabilità che la mediazione si concluda con una conciliazione.

Ben venga, quindi, la reintroduzione della obbligatorietà, che, come sottolineato in altre occasioni, non si pone affatto in contrasto con i princìpi costituzionali ed europei. Proprio il ripristino della «condizione di procedibilità» potrebbe contribuire all’affermazione dell’istituto. Del resto, è noto che la (corposa) decisione resa dalla Consulta (e incredibilmente anticipata da uno scarno «comunicato stampa») aveva bocciato le disposizioni in tema di obbligatorietà esclusivamente sulla base di un eccesso di delega da parte dell’Esecutivo, che nello scrivere il d.lgs. n. 28/2010 non si era attenuto al mandato espresso dalla legge n. 69/2009. Chiari inviti ad incentivare il ricorso alla mediazione ed al ripristino dell’istituto come «condizione di procedibilità» erano, peraltro, stati mossi dalle Istituzioni europee e dai vertici della Magistratura italiana.

Ma sarebbe un errore pensare che tutto ritornerà come prima.

Esistono profonde e significative novità, che probabilmente non sono ascrivibili alla migliore tecnica normativa, ma che costituiscono veri e propri «compromessi politici» tesi a evitare le proteste già viste all’esito del varo del d.lgs. n. 28/2010.

Una «mediazione» nella «mediazione», quindi? Probabilmente, sì.

Del resto, la storia d’Italia è ricca di compromessi, spesso frutto di scelte gravi e dolorose, finalizzati comunque al raggiungimento di un obiettivo importante. Il Risorgimento ci ha consegnato uno dei massimi esempi in tal senso: per ottenere l’unità della Nazione, Cavour si fece artefice della cessione della Savoia e della contea di Nizza ai cugini d’Oltralpe. Venendo alle sciagurate conseguenze della partecipazione di un’Italia in camicia nera (sul finale sbiancata con un po’ di varechina) al secondo conflitto mondiale, si concretizzò un’altra «mediazione» che pose fine alla «questione triestina»: per riportare la meravigliosa città giuliana in Italia, il nostro Governo firmò il Trattato di Osimo, con cui si abbandonavano al loro destino i connazionali di territori annessi alla Jugoslavia.

I paragoni potrebbero apparire un po’ azzardati.

Eppure, ispirandosi agli esempi del passato, il Governo Letta ha deciso di giungere ad un compromesso, dando ingresso alle voci che da tempo stavano cercando di delegittimare gli strumenti di ADR, con innesti non del tutto apprezzabili, ma sicuramente «utili» all’obiettivo. Si è, così, deciso di «sacrificare» la materia della responsabilità da circolazione di veicoli e di natanti (che, peraltro, appariva di difficile mediazione, per l’ostinato rifiuto di partecipare alle sedute da parte delle compagnie di assicurazione), per non dimostrarsi insensibili al «grido di dolore» levato dai Giudici di Pace. Inoltre, si è dato accesso di diritto all’esercizio della nuova professionalità agli avvocati, i cui rappresentanti lamentavano di essere stati trascurati dal d.lgs. n. 28/2010.

Peraltro, si è deciso di introdurre una norma in virtù della quale il verbale di accordo, per essere omologato e divenire titolo esecutivo, deve essere firmato da tutti gli avvocati che assistono le parti. Nulla quaestio circa l’opportunità “politica” della norma. Ma non dobbiamo dimenticare che la disposizione che consente di ottenere un titolo esecutivo è la trasposizione di quanto previsto dal Legislatore europeo nell’art. 6 della direttiva 2008/52/CE e che la novità potrebbe tradire lo spirito di tale fonte (seppur dedicata principalmente alle controversie transfrontaliere).

Se, da una parte, si rafforza la «mediazione delegata», dato che l’avvio del procedimento diviene condizione di procedibilità, dall’altro lascia perplessi la previsione secondo cui il giudice, nell’ordinare alle parti di procedere alla mediazione, sarà tenuto ad indicare l’organismo di mediazione.

La scelta dell’Esecutivo è stata quella di scommettere sull’istituto, soprattutto per far fronte ai ben noti problemi della giustizia nazionale. In sintesi, non si è forse valorizzato il senso dei «considerando» della direttiva 2008/52/CE, ma si è posto risalto alla funzione deflattiva che la mediazione dovrebbe svolgere (congiuntamente alle altre misure previste dal decreto, in cui si assiste al reclutamento di un numero di magistrati onorari sicuramente insufficiente), prevedendo peraltro che le norme entreranno in vigore decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto (in spregio alla prassi tipica della decretazione d’urgenza).

Da un certo verso, le motivazioni che stanno alla base della decisione del Governo non sono del tutto condivisibili. Del resto, la direttiva comunitaria indicava nella mediazione uno strumento di «risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida», da valorizzare in quanto tale. Da un altro punto di vista, però, non si deve dimenticare che gli ostacoli all’esercizio del (pieno) diritto di accesso alla giustizia sono rappresentati da ben altri istituti, a partire dalle recenti riforme che hanno investito la materia delle impugnazioni civili. E’ evidente che sistemi che, come il nostro, contemplano un istituto come quello del «filtro» in appello dimostrano di non facilitare un approccio al mondo della giustizia, ma di comprimere sempre maggiormente il diritto riconosciuto dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. E’ chiaro, quindi, che -in un contesto come questo- il procedimento di mediazione si pone come strumento particolarmente efficace, se si considera, peraltro, che lo stesso, grazie alla recente riforma, diventerà ancora più economico, con la previsione di un incontro preparatore i cui costi sono estremamente ridotti, che sembra essere perfettamente in linea con gli orientamenti espressi dalla Corte di Giustizia (sentenza del 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, 318/08, 319/08, 320/08).

(Altalex 04.07.2013)

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